La parola enigma richiama, lo si voglia o no, la famosa, storica esperienza metafisica. E con l’opera che Giordano Montorsi dedica all’artista contemporaneo e alla sua navigazione fra le incertezze del senso, il richiamo agisce immediatamente.
Un uomo piccolo, al limite di un onirico sperdimento. Un uomo in abito scuro, non un nudo; una statuina che potremmo trovare con la sua compagna sopra una torta nuziale, e tuttavia diventa immagine e somiglianza di ciò che, assieme all’artista, vale almeno un po’ per ciascuno di noi.
La statuina sosta accanto a una specie di “altare”. Sta in piedi sull’angolo-limite di un reticolo e la forma verso cui tende - incerto se avvicinarsi e toccarla - è una mezza sfera di marmo nero.
Il reticolo si definisce per righe nere; e anche i reticoli che ingigantiscono sulle pareti - ad allargare e, insieme, chiudere lo spazio – si definiscono per righe nere.
L’enigma degli artisti e dei filosofi metafisici non fa che ricongiungersi, dall’origine, a ciò che l’uomo solo con se stesso troverà nel futuro. Il viaggio all’indietro in cerca degli inizi, e il viaggio che spinge avanti – la scoperta della fine? – potrebbero dunque essere diversi solo in apparenza.
Nero. Del lutto e dell’eleganza, dell’assoluto che il buio insondabile (il prima, il dopo) impone.
La mezza sfera. Una virtualità barocca che promette spazio ma anche lo sigilla per sempre a causa della natura perfetta, cioè finita, della forma cui la sua metà induce.
I reticoli. Le strisce che li disegnano creando vuoti geometrici sulle pareti e, da una finta tautologia col pavimento, fanno dismisura. Ma per un trucco, illusoriamente.
Il vuoto immaginato, cioè messo in scena, non cancella la coscienza della parete invalicabile. Il concetto, ancora una volta, si adegua al proprio limite nell’attimo stesso in cui quel limite rappresenta. |