Macchie informali, cangianti: colori bruciati, inceneriti si fanno improvvisamente
acquosi, si dilatano, debordono, mutano. Una mano sapiente ne traccia i movimenti
sinuosi e serpeggianti. Vengono come vaporati, trasformati in nuvole vaganti di fumo.
Il loro svolazzare leggero e impalpabile diviene un roteare impazzito di forme sempre
più surreali e degradate: fantasmi neri, fantasmi vermigli, che si sfilano inquietanti sui greti della nostra esistenza, sull’orizzonte dei nostri soli calanti.
Bruciature e sostanze materiche addensano il cromatismo delle macchie cangianti; ne
dilatano le proiezioni verso cunicoli sotterranei.
La continua mutazione è apparente ed illusoria. La realtà autentica è sempre lì, nell’antro ascoso,
sembrano delle cellule biomorfe, dei siti palustri di esistenze indifferenziate,
simulano la carne sofferente, lacerata. Sembrano delle pustole sparse sull’epidermide, delle metastasi nell’atto di aggredire,
di soffocare la sanità di vita e di mortificare il desiderio inestinguibile di luce.
Disegnano mostri, esseri arcaici, spettri, che turbano il nostro inconscio.
E’ tutto il mondo biomorfo dell’io ad essere coinvolto.
Negli arabeschi di fumo, nelle spirali vaporose aleggiano le ceneri della nostra esistenza
quei fili neri, aeriformi, sono in realtà le nostre stesse vite liquefatte, vaporate.
Portano con sè i nostri progetti, i nostri sogni, i nostri disinganni
quei fili lanosi, quei grumi vermigli, impalpabili, ci sorridono, ci irridono soavemente:
siamo noi stessi. |